Dalle miniere al mare: il grande sogno a vapore del Sulcis
Le origini: un territorio ricco ma isolato
Il Sulcis Iglesiente, noto fin dall’epoca fenicia per le sue ricchezze minerarie, fu per secoli uno dei principali giacimenti di piombo e argento del Mediterraneo. Tuttavia, l’isolamento geografico e la carenza di infrastrutture penalizzavano lo sviluppo economico dell’area. Il trasporto del minerale avveniva per lo più su carri trainati da buoi o tramite vie d’acqua interne, con tempi lunghi e costi elevati.
Con l’avvento dell’era industriale e della trazione a vapore, divenne possibile superare questi limiti: miniere fino ad allora considerate non redditizie tornarono economicamente appetibili grazie alla prospettiva di collegamenti ferroviari diretti con i porti del sud Sardegna.
I primi progetti
Nel primo decennio del Novecento si avviò il dibattito per una linea che collegasse il Sulcis con Cagliari. Furono presentati due progetti:
- Progetto Cugnasca: da Siliqua a Calasetta passando per Santadi, con tracciato a scartamento ridotto (950 mm).
- Progetto Vanini: da Cagliari a Calasetta via Capoterra, Pantaleo e Santadi, sfruttando in parte la vecchia linea mineraria per San Leone.
Nonostante la maggiore economicità della proposta Vanini (92 km totali contro i 110 km della Cugnasca), il Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici approvò il progetto Cugnasca. L’11 dicembre 1914, a Roma, venne fondata ufficialmente la Società delle Ferrovie Meridionali Sarde (F.M.S.).
Costruzione e sviluppo
Lo scoppio della Prima Guerra Mondiale rallentò l’inizio dei lavori, che presero avvio solo nel 1923 e si conclusero tre anni dopo. Il 23 maggio 1926 entrarono in esercizio due linee:
- Santadi – Palmas Suergiu – Calasetta
- Iglesias – Palmas Suergiu, con annesso il tratto Iglesias – Monteponi (ex Ferrovie Reali)
In totale vennero costruiti oltre 120 km di linee ferroviarie a scartamento ridotto, attraversando territori impervi, ricchi di ponti, gallerie e opere murarie di rilievo.
L’età dell’oro: anni ’30 e fascismo
Negli anni del fascismo, grazie alla politica autarchica che puntava sull’estrazione di risorse nazionali, le F.M.S. conobbero una fase di forte crescita:
- Nel 1936 entrarono in servizio le prime automotrici Fiat (Littorine), che dimezzarono i tempi di percorrenza.
- Nel 1940 venne raddoppiata la tratta Carbonia – Sant’Antioco (16 km), per supportare il boom estrattivo.
Durante la Seconda Guerra Mondiale, il servizio ferroviario venne sospeso per ragioni di sicurezza. Il parco rotabile fu nascosto o mimetizzato per evitare bombardamenti.
Il dopoguerra e l’inizio del declino
Nel 1955, le Ferrovie Meridionali Sarde passarono sotto la Gestione Commissariale Governativa. Con fondi pubblici furono acquistate nuove automotrici ADE (ancora oggi in uso presso le FdS), dotate di sistema diesel-elettrico.
Tuttavia, l’avanzata del trasporto su gomma e la crisi dell’attività mineraria condussero a una progressiva dismissione:
- 1968: chiusura del tratto Siliqua – Narcao per la costruzione di un bacino artificiale
- Successivamente venne chiusa la Iglesias – Monteponi per il crollo di una galleria
Il 1° settembre 1974, con la legge n. 309, si decretò la chiusura definitiva delle restanti linee e il passaggio al servizio automobilistico.
Un’eredità che resiste
A differenza di altre ferrovie in concessione, le F.M.S. riuscirono a mantenere bilanci quasi in pareggio per diversi anni, grazie all’alta efficienza dei collegamenti con le miniere. Oggi, del loro glorioso passato restano:
- Ponti e viadotti in muratura e metallo
- Gallerie e stazioni (alcune riconvertite a usi civici o museali)
- Case cantoniere lungo i vecchi tracciati
Un patrimonio ingegneristico e culturale che merita di essere valorizzato come itinerario turistico e di memoria industriale.