Vita Sociale, Salute e Famiglia
Un’esistenza di fatica, speranza e dignità sotto terra e nei villaggi
Introduzione
Nel cuore delle miniere del Sulcis Iglesiente non si estraevano soltanto piombo, zinco o carbone. Si viveva. Ogni giornata di lavoro era parte di un sistema sociale complesso, fatto di sacrifici, legami di comunità, malattie e famiglie che lottavano per sopravvivere. Questo articolo vuole restituire un’immagine reale della vita quotidiana dei minatori sardi, tra il duro lavoro, la povertà dignitosa e la forza delle relazioni umane.
Vita sociale: tra polvere e festa
I minatori passavano in media 10-12 ore al giorno sottoterra. Al termine del turno, rimaneva pochissimo tempo per lo svago.
La vita sociale era semplice:
- I giovani si ritrovavano nei bar del paese per chiacchierare o giocare a carte.
- Gli adulti, soprattutto i padri di famiglia, preferivano passare il poco tempo libero in casa o nel cortile, insieme ai vicini.
La vita comunitaria si svolgeva spesso all’aperto:
- In estate lungo le stradine dei villaggi,
- In inverno attorno al caminetto, condividendo racconti e problemi quotidiani.
Il fascismo introdusse alcune strutture sociali come circoli ricreativi e sale di lettura nei villaggi minerari, dove si ascoltava la radio e si leggevano i giornali, ma erano iniziative calate dall’alto e spesso poco partecipate.
Il vero momento di festa era rappresentato dalle ricorrenze religiose e popolari, in particolare:
- Il giorno della paga, spesso coincidente con piccoli festeggiamenti.
- La festa di Santa Barbara, patrona dei minatori (4 dicembre), durante la quale si organizzavano processioni, balli, canti e giochi popolari.
Salute e sicurezza: il prezzo del lavoro
La miniera era un luogo pericoloso. I minatori lavoravano esposti a:
- Correnti d’aria, polveri sottili e umidità elevata,
- Il frastuono assordante delle perforatrici e il peso dei vagoni carichi,
- Condizioni igienico-sanitarie precarie e sistemi di protezione inadeguati, soprattutto nelle concessioni minori.
Tra le malattie più diffuse:
- Silicosi, causata dall’inalazione di polveri di silice,
- Bronchiti croniche, enfisema, tracoma, lesioni oculari e reumatismi,
- Scabbia e malaria, legate alla promiscuità e all’ambiente malsano.
👉 La vita media di un minatore, fino a fine Ottocento, si fermava spesso intorno ai 40 anni.
👉 All’età di 50 anni, molti erano già inabili al lavoro.
Negli anni successivi la situazione migliorò lievemente grazie a:
- Maggiore attenzione sanitaria da parte delle aziende statali,
- Intensificazione delle battaglie sindacali,
- Istituzione di ospedali minerari e visite mediche periodiche.
La famiglia del minatore: tra miseria e resilienza
Le abitazioni dei minatori erano umide, spoglie, fredde d’inverno e afose d’estate.
Realizzate in pietra locale con tetto in frasche, comprendevano:
- Una o due stanze senza pavimento,
- Un piccolo caminetto,
- Finestre minuscole e nessuna comodità.
Il bilancio familiare era sempre in bilico:
- Le famiglie numerose vivevano in condizioni di vera indigenza.
- Le più fortunate erano quelle dove lavoravano anche la moglie o i figli, che permettevano almeno di comprare un vestito per le feste o le scarpe nuove.
Molti integravano il reddito con:
- Un piccolo orto (pomodori, lattuga, cipolle),
- Allevamento di qualche pecora o gallina.
Dagli anni Trenta in poi, le grandi società minerarie introdussero miglioramenti significativi:
- Scuole elementari per i figli dei minatori,
- Ambulatori, mense e servizi sociali nei villaggi,
- Iniziative ricreative e culturali per le famiglie.
Una società che viveva per la miniera
La miniera non era solo il luogo del lavoro. Era l’universo intero per chi ci lavorava:
- Il posto dove si nasceva e spesso si moriva.
- L’unica fonte di sostentamento, ma anche di malattia e dolore.
- Un microcosmo in cui il valore della solidarietà, della condivisione e della dignità illuminava anche i momenti più bui.