Il Grande Sviluppo Minerario del ‘900 nel Sulcis Iglesiente
Tra innovazione tecnologica, lotte sociali e crisi industriali
Introduzione
Il Novecento ha rappresentato per il Sulcis Iglesiente il secolo della massima espansione dell’attività mineraria, ma anche quello delle più gravi crisi del comparto. Un’epoca caratterizzata da grandi investimenti industriali, sviluppo tecnologico, durissime lotte sindacali e, infine, la lenta dismissione di un’intera economia. Il secolo scorso è il cuore pulsante della memoria mineraria del territorio.
I primi decenni: elettricità, ferrovia e nuove tecnologie
Il secolo si apre con segnali promettenti. Nel 1900 viene inaugurata a Buggerru la miniera controllata dall’industriale Thomas Alnutt Brassey, mentre pochi anni dopo, nel 1903, la Monteponi realizza una centrale elettrica a Portovesme alimentata dal carbone sulcitano.
Nel 1904 viene messa in funzione la ferrovia elettrica Acquaresi – Cala Domestica, una vera innovazione per l’epoca, capace di trasportare oltre 2 tonnellate di minerale a 12 km/h. Nello stesso anno però, a Buggerru, lo sciopero dei minatori finisce nel sangue, segnando l’inizio di una lunga stagione di rivendicazioni operaie.
Prima guerra mondiale e dopoguerra: frenate e rilanci
Fino al 1915, il Sulcis vive una fase di grande sviluppo estrattivo, ma con lo scoppio del conflitto mondiale arrivano i problemi: chiusura dei mercati, mancanza di materiali e manodopera chiamata alle armi. Le miniere passano sotto regime militare.
Nel 1926, a Monteponi, viene avviata la produzione dello zinco elettrolitico, mentre l’ingegnere Cesare Vecelli, a Masua, progetta Porto Flavia, una straordinaria opera ingegneristica per l’imbarco diretto del minerale nelle stive delle navi.
Il fascismo e la nascita di Carbonia
Negli anni ’30, il settore beneficia di nuove normative di tutela e investimenti statali. Nel 1933 nasce la Società Italiana del Piombo, mentre la A.Ca.I. (Azienda Carboni Italiani) rivoluziona la produzione carbonifera, dando impulso alla nascita di Carbonia nel 1938.
Organizzata secondo rigidi canoni urbanistici del regime fascista, con piazza quadrata, Casa del Fascio e vie parallele, Carbonia diventa il cuore produttivo del carbone italiano. Nel 1940 gli operai a Serbariu sono 3.000.
Il secondo dopoguerra: boom e prime crisi
Dopo il conflitto, il settore conosce una ripresa importante, ma già nel 1956 arriva un duro colpo: il crollo del valore dei metalli sui mercati internazionali, la mancanza di fonderie e l’interdipendenza tra miniere mettono a rischio l’intero sistema. Monteponi chiude diversi cantieri.
Gli anni Sessanta: intervento pubblico e crisi strutturale
Lo Stato entra in scena negli anni Sessanta: nascono enti e società pubbliche come l’AMMI, l’Ente Minerario Sardo (1968) e l’ENI. Si tenta di salvare ciò che resta, ma le miniere private lasciano spazio a quelle pubbliche. Solo le attività più redditizie sopravvivono, mentre molte miniere vengono dismesse.
Il carbone non è più competitivo e l’autarchia è finita: la concorrenza estera, i debiti e i costi elevati fanno precipitare la situazione.
Gli ultimi anni e la fine di un’epoca
Fino al 1995, le attività residue vengono gestite dalla Società Mineraria Iglesiente (SMI). Dopo il 1996, anche le ultime miniere vengono chiuse definitivamente. Alcuni minatori vengono reimpiegati in lavori di ripristino ambientale, ma per molti il licenziamento è inevitabile.
Eredità e prospettive
Il Novecento ha lasciato nel Sulcis Iglesiente:
- Villaggi minerari oggi in parte visitabili;
- Opere ingegneristiche d’eccellenza, come Porto Flavia;
- Una memoria sociale viva e un senso d’identità fortissimo tra la popolazione.
Oggi, l’interesse per le miniere è tornato sotto forma di turismo culturale e ambientale, e molte aree sono in fase di valorizzazione museale e paesaggistica.